La risaia

Biodiversità, il valore ecologico delle risaie

D. Giuliano, F. Luoni, E. Anselmetti, C. Celada, G. Bogliani

L'agroecosistema risicolo può svolgere un ruolo importante per la conservazione delle specie legate alle zone umide. L'intensificazione delle pratiche agricole ha ridotto questo valore ecologico ma delle 'buone pratiche' - come quelle studiate dall'Università di Pavia e dalla LIPU - possono mitigare gli impatti sulla fauna generati dalla risicoltura intensiva

Le risaie sono un elemento tipico del paesaggio agricolo nelle pianure vercellesi, novaresi e pavesi, dove la storia e l'economia locali sono strettamente legate alla risicoltura. Tuttavia, il valore dell'agroecosistema risicolo non è limitato ai soli aspetti economici, culturali e paesaggistici, ma è stato anche riconosciuto in termini ecologici, accertando l'importante ruolo svolto da questo tipo di coltivazione per la conservazione delle specie legate alle zone umide.

Il pregio delle risaie dal punto di vista ambientale è stato particolarmente evidente fino a qualche decennio fa, quando le tecniche tradizionali di coltivazionerendevano ancora le camere di risaia molto simili a delle paludi temporanee. I campi erano allagati dalla primavera a fine estate con uno strato d'acqua profondo alcune decine di centimetri, senza fluttuazioni rilevanti nel corso della stagione vegetativa. Ciò consentiva a numerosi organismi (soprattutto anfibi e invertebrati) di completare il loro ciclo vitale nel corso della stagione di allagamento, garantendo anche una buona disponibilità di cibo per numerose specie di uccelli.
Oggi, la modernizzazione e l'intensificazione delle pratiche agricole hanno però notevolmente ridotto il valore ecologico delle risaie, causando il declino di numerose specie un tempo caratteristiche di questo habitat, come ad esempio la nitticora, la cui popolazione nidificante si è ridotta di quasi l'80% negli ultimi trent'anni.

In particolare, l'introduzione del livellamento laser dei campi, in combinazione con l'esecuzione di asciutte ripetute durante la stagione vegetativa, ha ridotto l'idoneità delle camere di risaia per la fauna acquatica. L'estrema precisione con cui i macchinari livellano il terreno nelle risaie permette una completa eliminazione dell'acqua durante le fasi di "asciutta", causando la morte della maggior parte degli organismi acquatici presenti e riducendo perciò la disponibilità di cibo per gli uccelli. Prima dell'avvento delle livellatrici laser, le eventuali asciutte portavano raramente alla totale eliminazione dell'acqua, poiché il terreno presentava molte irregolarità, consentendo così la sopravvivenza delle specie acquatiche in piccoli ristagni d'acqua.

Come mitigare gli impatti delle risicoltura intensiva sulla fauna

Le evidenti criticità legate alla conservazione della biodiversità nelle risaie hanno condotto negli ultimi anni alla realizzazione di numerosi progetti di ricerca promossi da vari enti, tra cui Università di Pavia e LIPU, nei quali sono state sperimentate nuove tecniche di gestione finalizzate alla mitigazione degli impatti sulla fauna generati dalla risicoltura intensiva. Fortunatamente, alcune di queste "buone pratiche" sono già state incluse nei Programmi di Sviluppo Rurale (PSR), come la sommersione invernale delle stoppie, il mantenimento di una riserva d'acqua durante le asciutte e il mantenimento della vegetazione sugli argini delle risaie.

La sommersione invernale si è dimostrata particolarmente importante per la fauna, soprattutto per gli uccelli. Essi, infatti, durante la stagione fredda si concentrano nei campi allagati, dove trovano risorse alimentari essenziali per la loro sopravvivenza (soprattutto invertebrati), altrimenti difficilmente reperibili data la scarsità di aree umide naturali. Inoltre, i benefici della sommersione invernale per l'avifauna si mantengono anche dopo il drenaggio delle acque, perché il suolo fangoso facilita l'accesso con il becco agli invertebrati presenti nel terreno.
Le ricerche condotte durante la stagione estiva, invece, hanno dimostrato che l'idoneità delle camere di risaia per la fauna acquatica può essere migliorata attraverso il mantenimento di una riserva d'acqua durante le asciutte. La costruzione di un solco (di dimensioni almeno 100x80 cm) lungo uno dei margini delle risaie assicura la sopravvivenza degli organismi acquatici durante le fasi di asciutta, permettendo una loro moltiplicazione e garantendo la presenza di adeguate risorse alimentari per l'avifauna. Inoltre, questa pratica si è rivelata particolarmente efficace per contenere la proliferazione delle zanzare, dato che nelle risaie dotate di solco è stato osservato il 44% di larve in meno rispetto a quelle senza riserva d'acqua, grazie al controllo naturale esercitato da numerosi predatori.

La gestione della vegetazione sugli argini delle risaie

Una corretta gestione della vegetazione sugli argini delle risaie è essenziale per la conservazione della biodiversità nell'agroecosistema risicolo. L'utilizzo di erbicidi si è dimostrato estremamente dannoso per farfalle e ortotteri, quasi azzerando le loro popolazioni. D'altra parte, una corretta pianificazione degli interventi di controllo della vegetazione, basata su sfalci poco frequenti, può invece costituire una buona soluzione per migliorare la qualità dell'ambiente terrestre intorno alle risaie per l'entomofauna.
Le sperimentazioni condotte negli ultimi anni mostrano come le tecniche agricole contemplate dai PSR possano contribuire a sostenere una maggiore biodiversità nell'agroecosistema risicolo. Potenzialmente, l'applicazione di tali pratiche, se opportunamente messa a sistema e valorizzata, potrebbe portare alla caratterizzazione di distretti di coltivazione più attenti ai valori ambientali, con possibili vantaggi commerciali, in un mercato dove l'attenzione dei consumatori su queste tematiche è recentemente cresciuta.

Ulteriori sforzi sono però necessari per risolvere altre criticità ambientali, come ad esempio l'omogeneizzazione del paesaggio risicolo, la scomparsa di gran parte delle aree umide naturali e l'eccessivo utilizzo della chimica, da sempre considerati elementi critici per la conservazione della biodiversità negli ambienti agricoli.

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Davide Giuliano e Giuseppe Bogliani, Dipartimento di Scienze della Terra e dell'Ambiente, Università di Pavia.
Federica Luoni e Claudio Celada, LIPU - BirdLife Italia.
Elena Anselmetti, Regione Piemonte.

 

 

Speciale Piemonte Parchi 'Itinerari del gusto', ottobre 2004   

Alimento prezioso per le molte popolazioni asiatiche, il riso è il nutrimento di base per miliardi di persone. Le sue origini si perdono nella notte dei tempi e nessuno è mai riuscito a stabilirle con precisione. Per coltivarlo sono necessarie radicali modifiche che conferiscono al paesaggio della risaia lineamenti originali e inconfondibili. Nel corso del tempo, il riso ha dato vita a civiltà millenarie in Oriente e da noi, nella pianura vercellese e novarese, intorno al riso è fiorita una specifica civiltà contadina che ha coinvolto intere generazioni. Si pensa che le prime coltivazioni, risalgano a 12.000 anni fa lungo le pendici dell'Himalaya e solo verso il 2000 a.C. si estendono in Indonesia e a Giava.

La pianta del riso, considerata un sacro dono degli dei, penetra poi in Sri Lanka dove viene coltivata prima a secco e poi in acqua, grazie ad ampi serbatoi idrici, dei quali sono ancora visibili le rovine; quindi raggiunge Cina, Corea e Giappone, dove fino al 1868 è un alimento esclusivamente riservato a guerrieri e mercanti. Sappiamo che arrivò in Europa, grazie agli arabi, più di mille anni fa, ma già Teofrasto, nel VI sec. a.C. ce ne da una generica descrizione: "Assomiglia alla nostra spelta e, mondato è come il grano. Ha un aspetto simile al loglio e cresce in acqua; non cresce sulla spiga ma su una specie di chioma come il miglio" (Historia plantarum, IV, 4, 10).

greci lo scoprono quando Alessandro Magno conquista l'India: impiantano le colture, lo consumano, ma non lo diffondono. Invece i romani non lo conoscono, anche se Strabone, Orazio e Plinio ci informano che il riso è consumato in poche famiglie patrizie. Gi arabi iniziano a coltivarlo in ristrette zone della Sicilia e in tutta la fascia dell'Africa settentrionale, dall'Egitto al Marocco da dove, superato lo stretto di Gibilterra, giunge in Spagna per approdare poi nel Regno di Napoli con Federico d'Aragona, e in seguito in Lombardia e in Piemonte. Qui la presenza di notevoli estensioni paludose ne favorisce la coltivazione e intorno alla metà del Quattrocento, nasce la prima risaia. Nel 1475, Gian Galeazzo Sforza dona agli Estensi un sacco di semi di riso assicurando che "se ben impiegato si trasformerà in 12 sacchi di prodotto".

Una resa miracolosa per quei tempi, che presto diventa una costante per molte aree della Pianura Padana, dove verso la metà del Cinquecento le risaie occupano una superficie di oltre 5.000 ettari. I raccolti sono tutelati da appositi provvedimenti per impedire l'esportazione del seme e nel 1567, al mercato di Anversa il riso ha valore di una moneta di scambio al pari di armi e stoffe pregiate. Il gesuita Padre Calleri, tornando da un viaggio in una missione delle Filippine nel 1839, porta abusivamente in Italia 43 diverse qualità di semi di riso asiatico, che rinnovano il nostro scarno patrimonio genetico fino a quel momento dominato dalla sola varietà di riso 'nostrale' e fondano le basi della risicoltura moderna.

L'impianto delle risaie modifica il profilo delle campagne della pianura piemontese e lombarda, che per alcuni mesi all'anno si presenta come una laguna estesa e squadrata, da cui emergono filari di pioppi, strade e case. Quei terreni che fino all'epoca medievale erano ricoperti da una folta vegetazione, vengono progressivamente dissodati a favore delle coltivazioni, con il conseguente aumento della popolazione locale e l'incremento dei nuclei abitativi.

L'architetto Delleani afferma che "verso la fine del '700 si ha l'impianto delle più importanti cascine ad aia con complessi rustici costruiti in mattoni, cotti e crudi, con locali per abitazioni civili, tra cui quelle per i conduttori per conto dei proprietari, vere e proprie ville o piccoli castelli e torrioni o cappelle che firmavano la proprietà civile o religiosa con i loro simboli". Un'importante testimonianza della stratificazione degli interventi costruttivi è rappresentato dal complesso della Veneria, oggi parte integrante dell'Ecomuseo delle Terre d'acqua.

È significativo inoltre che anche il conte di Cavour avesse delle proprietà in questa zona, perché la coltivazione del riso fu economicamente rilevante nel programma di politica agraria inaugurato dal ministro, con il riordino e il potenziamento dell'intero sistema d'irrigazione delle risaie. Il metodo tradizionale prevede che dopo la concimazione e l'aratura del terreno, squadre di braccianti creino gli argini perimetrali e scavino i fossi per il rifornimento dell'acqua proveniente dal canale convogliatore attraverso una chiusa regolabile.

In primavera viene aperto l'invaso e l'acqua entra nel primo bacino e poi allaga tutti gli altri. Quando il livello raggiunge i 20 cm, s'interrompe il flusso e per qualche giorno si lascia che l'acqua permei il suolo. Angelo Merzario, ricorda che "questa parentesi di tempo era una occasione per i ragazzi di passeggiare indisturbati vicino al "lago" spinti dalla curiosità: con i miei occhi di bambino, che non aveva ancora visto il mare, lo spettacolo dell'acqua increspata dal vento di aprile, dove si specchiavano il cielo azzurro, gli alti pioppi e il volteggio degli uccelli acquatici, mi calavano in una atmosfera fiabesca ma il sogno durava poco. Mi riportava alla realtà il movimento degli erpici, trascinati dai cavalli, per rassodare il fondo preparandolo alla semina: i contadini si sedevano su piccoli carri anfibi trainati da cavalli, con le spalle rivolte al senso di marcia e, mentre gli animali procedevano lentamente ansimando nel terreno fangoso, gli uomini spandevano a piene mani la preziosa semente nell'acqua".

La rete di canalizzazione più antica, formata da un fitto intreccio di bealere, cavi e rogge che per deflusso naturale portavano l'acqua nelle camere di preriscaldamento, è alimentata da due grandi canali: il Naviglio Sforzesco (inizio Quattrocento), derivato dal Ticino per l'area milanese e il Naviglio d'Ivrea(1468), che prendeva acqua dalla Dora Baltea per l'area piemontese.
Con l'opera di potenziamento promossa da Cavour, la rete irrigua registra un forte incremento, favorendo la messa a coltura di ampie superfici di terreno: il Canale di Cigliano (costruito nel 1783 e ampliato nel 1858), derivato dalla Dora Baltea e il Canale Cavour (1866) che prendeva l'acqua dal Po.

L'imponente elegante edificio di presa del canale Cavour, resta tuttora il simbolo di quell'epoca di smisurata fiducia nella tecnica e nel progresso. Dalla descrizione dell'ingegnere Ajraghi: "Dalla galleria superiore di codesta costruzione l'occhio si spazia nel sottostante fiume e nel bel panorama delle colline che si innalzano sulla sponda destra. In linea pressoché parallela al corso del Po ed alla distanza di circa 400 metri a valle del Ponte per la strada militare Torino - Chivasso - Casale". Rapidità di esecuzione e precisione costruttiva fanno di quest'opera un capolavoro, il fiore all'occhiello dell'ingegneria italiana del periodo.

Ideato dal vercellese Francesco Rossi, progettato da Carlo Noè e realizzato in meno di tre anni, il canale è lungo 85 km. Con la portata massima circa 100 m³/s, costituisce l'ossatura portante del sistema di canalizzazioni delle risaie in Piemonte: per attraversamenti di strade e corsi d'acqua sono costruiti 101 ponti, 62 ponti-canali e 210 sifoni. Paradossalmente è proprio l'inaugurazione di un altro importantissimo canale, quello di Suez (1869) a mettere in crisi la coltivazione del riso in Italia per l'accentuata concorrenza
dei risi asiatici.

Il Corriere della Sera del 3 maggio 1882, scrive: "I risicoltori della bassa Lombardia, l'Oltre Ticino, sia per le imposte eccessive, sia per la concorrenza, si trovano in uno stato di vero disagio e bisognosi di ingenti provvidenze. Oh, povera agricoltura!". Una crisi che tende a diventare cronica, se si eccettua la breve parentesi della prima guerra mondiale, quando la generale scarsità di cibo incrementa produzione e consumo di riso. Per sostenere la risicoltura italiana, nel 1931 nasce l'Ente nazionale risi, ma la situazione peggiora nuovamente e nel 1945 la superficie coltivata risulta dimezzata e la produzione ridotta di un terzo.

Negli anni Cinquanta, una serie di eventi concomitanti (guerre in estremo oriente, avvio delle esportazioni e utilizzo del riso nei mangimi animali) determinano la rinascita del settore risicolo. Il duro lavoro delle mondine è fissato nelle immagini di "Riso amaro", film tanto famoso da ispirare il suo restauro nel '99 e addirittura una rivisitazione storica. Nel 2002 il regista di "Sorriso amaro" Matteo Bellizzi, ha riportato le mondine di allora nelle risaie di oggi, per ricomporre attraverso il ricordo vivo della loro esperienza, il ritratto di un'epoca.
Oggi l'Italia è il maggior produttore europeo.

L'estensione delle coltivazioni superano i 215.000 ettari suddivisi per ordine di grandezza nelle province di Vercelli, Pavia, Novara, Milano, Alessandria, Ferrara, Oristano, Mantova, Verona e in zone circoscritte di Toscana e Calabria.
Il Piemonte si trova al primo posto con 120.000 ettari e 5000 produttori circa. La produzione annuale nazionale s'aggira sui 13 milioni di quintali di risone, circa lo 0,25% di quella mondiale. Il mercato italiano assorbe 4 milioni e mezzo di quintali, il resto viene esportato nei Paesi della Unione Europea (3,5 milioni) e negli altri Paesi.

Leggi l'articolo - dal nostro archivio - sul numero speciale di Piemonte Parchi 'Itinerari del gusto' (ottobre 2004)